L'impianto fotovoltaico casalingo, spiegato in poche e semplici parole

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L'impianto fotovoltaico casalingo, spiegato in poche e semplici parole

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La produzione di energia grazie all’irradiazione solare non è una nuova tecnologia, dal momento che è presente da parecchi decenni. Piuttosto è il suo sviluppo che è recente (da meno di 20 anni), ma il suo vero boom si è manifestato in questi ultimi 5 anni. I fattori del suo sviluppo sono come sempre la scoperta di nuovi materiali (o meglio, di materiali a rendimento migliorato) e la caduta dei prezzi.

Ma andiamo per ordine: un impianto fotovoltaico si fonda su un principio molto semplice. In sostanza, il sole irradia dei pannelli detti fotovoltaici -costituiti da moltissime celle fotovoltaiche collegate assieme- in grado di convertire in energia elettrica la luce del sole. Quest’energia elettrica così prodotta viene resa fruibile (e quindi utilizzabile direttamente dai ns utilizzatori elettrici) grazie ad un apparecchio elettronico fondamentale detto Inverter. Esso regola tutto il ciclo di produzione/conversione/utilizzazione e riversamento in rete dell’energia elettrica. L’inverter è un componente piuttosto stressato a causa del grande lavoro che è chiamato a svolgere, producendo calore a volte anche in maniera sensibile. L’intero sistema, per funzionare e rispondere adeguatamente alle molteplici e svariate condizioni operative, si avvale in maniera sostanziale di programmi informatici.

In Italia la Legge vieta l’autoproduzione di energia elettrica in modo totalmente indipendente, ma chi desidera produrre in proprio dell’energia elettrica deve obbligatoriamente essere collegato alla rete ENEL. Ciò può essere un vantaggio, in quanto garanzia di rispetto dei parametri elettrici non solo nazionali ma anche europei. A questo proposito, si pensi che fino a pochi anni fa’ “l’indipendenza elettrica” restava vietata, anche se il cittadino interessato risiedeva in una località NON servita dalla rete elettrica nazionale. Ciò comportava ad esempio che un contadino o un montanaro che disponesse di un piccolo corso d’acqua in grado di far girare una piccola turbina collegata ad un piccolo generatore per ottenere dell’energia elettrica non lo poteva fare. Molti furono i casi in cui inspiegabilmente parecchie situazioni come questa (a volte proprio necessarie) dovettero essere smantellate.

In fatto di autoproduzione non vi è uniformità tra i vari paesi europei (non consideriamo quelli extraeuropei in cui i parametri sono talmente diversi da rendere incompatibili le differenti reti elettriche nazionali) e ogni paese ha proprie regole. In Francia, ad esempio, non è consentito l’autoconsumo diretto, ma tutta l’energia prodotta dal singolo cittadino confluisce nel sistema elettrico nazionale, arricchendolo in termini di energia; pertanto, al singolo utente che produce in proprio dell’energia elettrica sarà attribuita una tariffa di consumo che tiene conto del caso personale specifico.

E in Italia? Da noi la situazione è stata fallimentare fino poco più di un decennio fa’: confusione politica, poca chiarezza nelle tariffe di “riacquisto” (vale a dire quanto lo Stato ti paga ciò che produci oltre il tuo consumo istantaneo), incentivi che cambiavano continuamente e soprattutto modifiche continue delle regole in corso d’opera, spesso con preavviso del tutto insufficiente! Va da sé che questa insicurezza di fondo abbia generato una crisi di sfiducia e conseguentemente un crollo del mercato del fotovoltaico: un fatto tanto più grave se si considera che si tratta di una materia che richiede competenza da una parte (del legislatore prima di tutto! Anche se in Italia abbiamo avuto per più di un decennio un ministro dei trasporti che non possedeva neppure la patente di guida!) e dall’altra necessità di stabilità sia dal punto di vista dei costi, sia da quello delle regole reciproche! Infatti, è il caso di sottolineare che un impianto fotovoltaico presenta un costo elevato e come tale richiede finanziamenti bancari a lungo termine (oggi esistono persino iniziative ad hoc dette “green”).

Ma la novità più recente che ha davvero condizionato il mercato del fotovoltaico è stata -a parte i miglioramenti dei pannelli fotovoltaici dal punto di vista del rendimento (sempre piuttosto basso, ma non è questa la sede per inoltrarci in distinzioni tra elementi monocristallini e policristallini) e l’evoluzione degli Inverter (tradizionalmente l’anello debole della catena, lo si è visto il perché)- l’avvento delle batterie di accumulo al litio (di diretta derivazione del settore auto elettrica), le quali sono caratterizzate da una lunghissima vita (la vita di una batteria elettrica si misura in numero di cicli completi di carica e scarica), altissime capacità (impensabili parlando di tradizionali batterie di accumulatori al piombo) e caratteristiche di erogazione tali da poter essere in grado di alimentare carichi quali quelli di un’abitazione. Quest’ultima caratteristica, in particolare, ha portato alla messa a punto di sistemi anti-blackout in grado di sopperire alla mancanza di energia elettrica di rete, seppure per un tempo limitato (si tratta di staccare con avvedutezza tutte le utenze energivore non indispensabili nel breve).

In sostanza, gli elementi costitutivi di un sistema fotovoltaico sono tre: i pannelli solari, l’inverter e la batteria di accumulo, ma un cenno particolare meritano i software di gestione (in continua evoluzione), le App di monitoraggio a partire dello smartphone e i contratti personalizzati da parte dei gestori, i quali possono o no prevedere lo “scambio sul posto”, vale a dire: quanta energia in eccesso prodotta dall’impianto fotovoltaico singolo, io -gestore- posso comprare; in quali periodi della giornata questa energia in eccesso è disponibile per l’acquisto; e soprattutto a quanto questa energia in sovrappiù prodotta in autonomia verrà pagata.

 

Redazione: Gruppo Studio Aurora © Riproduzione riservata

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