Boni Portus - La storia di Bomporto, da territorio povero a paese prosperoso

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Boni Portus - La storia di Bomporto, da territorio povero a paese prosperoso

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Boni Portus… Latino latinorum per identificare un territorio di origini poverissime ed estremamente precarie dal punto di vista morfologico, oggi diventato ricco e prosperoso.

 

Estesa originariamente su una superficie di circa 40 chilometri quadrati, questa lingua di terra circoscritta dal canale Naviglio e dai fiumi Panaro e Secchia, confina come ben sappiamo con i paesi di Bagazzano, Albareto, Bastiglia e Sorbara verso ovest; a sud, con Nonantola e Ravarino, e a Nord con Solara.

Il nome di Bomporto -Boniportus all’origine- suggerisce immediatamente alla mente un ambiente acquifero, diciamo meglio fluviale nel nostro caso.

Tutti sappiamo che la zona detta Bassa Modenese è stata fino ad alcuni decenni fa’ una zona depressa, essendo situata in una pianura alluvionale, tra l’altro caratterizzata da un’elevata subsidenza. La subsidenza è un fenomeno che si manifesta con l’abbassamento della superficie terrestre, a causa dei cambiamenti che avvengono a livello del sottosuolo.

Da alcuni documenti storici sembra che l’attuale Bomporto venga indicata come “luogo di scambio” già nel lontano 1350, il ché prova la sua esistenza già da allora. Va specificato doverosamente tuttavia che -stando a documentatori di sicura attendibilità, quali scrittori e antichi geografi- si trattava di un territorio estremamente svantaggiato, un aggregato di paludi fangose e inospitali. In particolare, un documento dal titolo “Paludi Adriane” -redatto da un certo Silvestri- accenna ad una grande “Padusa”: una denominazione che deriva dal nome del fiume Po, detto “Padus” in latino. A quei tempi, il grande fiume scorreva in totale libertà divagando a piacere, raccogliendo acqua da numerosi affluenti, formando enormi ammassi d’acqua tra banchi di sabbia e cumuli di melme alluvionali. Ne risultavano foreste a volte inestricabili regno dell’umidità e dell’inospitalità. Infatti, quello era il luogo -nei punti meno esondabili- in cui risiedeva la povera gente, il cui modo per sopravvivere era la caccia; a volte la pesca, spesso la pastorizia. 

Eppure, quel tale “Bomporto”, o meglio “Buon-porto” fu uno dei primi luoghi a conoscere maggior fortuna grazie al fatto di essersi liberato dalle acque prima di altri luoghi.

Così, attraverso gli anni fecero la loro apparizione grandi lembi di terra asciutta, su cui presero posto grandi foreste di faggi e querce. Accanto, vaste estensioni di pioppi, sambuchi e salici abitate da piccole tribù indipendenti.

Ma il vero progresso si realizzò in seguito alla colonizzazione romana, quando un gran numero di ex-soldati iniziò ad occupare grandi spazi di terra fertile e asciutta ad est di Modena, sviluppando così ulteriormente la zona. Ciò, finché, di governo in governo, venne realizzato il canale Naviglio, caratterizzato da un’alta torre rotonda e merlata -di proprietà dei Rangoni- simbolo della forza e della potenza del casato. Proprio questa torre ispirò quattrocento anni più tardi lo stemma del Comune di Bomporto.

Pian piano Bomporto mutò la propria vocazione, che diventò quindi rurale: l’acqua, ben canalizzata e opportunamente configurata nei suoi percorsi, divenne una via di trasporto che favorì ulteriormente la città di Modena, grazie allo sviluppo dei trasporti delle merci fino alla sua Darsena. Il sistema era integrato dalla presenza dell’opificio dei Molini Nuovi e dai sostegni di Bastiglia oltre che di Bomporto. Il commercio diventò fiorente grazie alle idrovie, aumentò il guadagno e il benessere di chi lavorava la terra. La produzione agricola raggiunse elevati livelli, grazie anche alla costituzione di cooperative.

Il resto è storia attuale. La località, inserita in un tessuto produttivo sempre più orientato alla manifattura, tipicamente quella metalmeccanica, Bomporto conosce un ulteriore salto di qualità, con la nascita di officine a conduzione famigliare, alcune delle quali assumono uno sviluppo addirittura di livello internazionale. A ciò va aggiunta la notorietà delle specialità gastronomiche locali, finendo così per dare corpo alla leggenda della fama -ampiamente meritata- del Made in Italy, che tutto il mondo ci invidia.

Redazione: Gruppo Studio Aurora © Riproduzione riservata

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